Friday, April 22, 2016

Le prospettive politiche del nuovo vecchio Iran

(commento già apparso sul sito dell'OPI - Osservatorio di politica internazionale e disponibile al seguente link: http://www.bloglobal.net/2016/04/le-prospettive-politiche-del-nuovo-vecchio-iran.html).

Le recenti consultazioni elettorali valide sia per il rinnovo del Majlis (Parlamento) iraniano sia per l’Assemblea degli Esperti hanno visto l’affermazione dei candidati facenti parte del blocco politico legato al Presidente Rohani. Emblema della vittoria è stata la constituency della capitale Tehran in cui la fazione riformista-moderata ha conquistato tutti e 30 i seggi disponibili per il Parlamento (che elegge 290 rappresentanti su tutto il territorio nazionale) e ben 15 membri su 16 all’Assemblea degli Esperti, fra cui i primi due della lista riformista, l’ex Presidente Rafsanjani. uno dei principali businessmen del Paese, e il medesimo Presidente Rohani[1].

Le consultazioni sono ufficialmente le prime in seguito alla parziale rimozione del regime di sanzioni internazionali seguite allo storico accordo sulla questione nucleare raggiunto la scorsa estate. Un’intesa fortemente voluta dal Presidente Rohani e largamente avvertita da tutto il Paese, stremato da anni di chiusura e gravato da una crescita inesistente a fronte delle enormi potenzialità offerte dalla giovane società iraniana. Al punto da spingere alcuni analisti a ritenere che il momento elettorale in Iran non sia semplicemente uno strumento che il potere clericale usa a proprio piacimento – e, se serve, per vestire il regime di un’aurea democratica – ma costituisca realmente quel dispositivo istituzionale nelle mani dei cittadini affinché «le cose cambino»[2]. L’intesa sul nucleare, in altre parole, ha dato speranza al popolo iraniano; è così che la volontà di cambiamento ben rappresentata da Rohani e dalla fazione politica raccolta attorno a lui, è stata premiata. Gli sconfitti, gli hard-liners, hanno perso proprio perché si erano opposti a quell’accordo che dovrebbe dare sollievo all’economia iraniana, offrendo maggiori aperture economiche e, si spera, politiche.
Tuttavia, ad un esame più accurato, il risultato conseguito dalla fazione riformista, al netto dei 68 seggi del Majlis ancora da assegnare tramite un ulteriore turno di ballottaggio che si terrà il 29 aprile, va inscritto in una cornice più ampia, legata alla peculiare architettura istituzionale iraniana, che lascia spazio ad interpretazioni alternative. Occorre notare infatti che gli elementi tipici della democrazia quali sono le consultazioni elettorali e un Parlamento sovrano scontano un pesante difetto connesso alla presenza di organi a legittimazione religiosa che, vigilando rigorosamente ed intervenendo sensibilmente sulle procedure istituzionali, sono in grado di determinare esiti non strettamente conformi ai dettami della democrazia liberale. Il Consiglio dei Guardiani, ad esempio, è organo deputato ad effettuare una stringente selezione dei candidati che si presentano alle elezioni. Come sempre accade, anche questa volta la fazione moderata-riformista si è lamentata dei numerosi veti espressi dal Consiglio sui propri candidati. Risulta evidente, pertanto, come le procedure democratiche, pur presenti in Iran, siano costantemente sottoposte ad una sorta di setaccio religioso con il quale il regime tenta, accuratamente, di riprodursi, scartando di volta in volta gli elementi ritenuti pericolosi per la sopravvivenza dello stesso.
Come autorevolmente fatto notare anche dalle colonne del New York Times, stabilire chi, fra la fazione riformista e gli hard-liners, abbia effettivamente vinto è un’impresa ardua, a causa della notevole fluidità dell’appartenenza politica dei candidati: «un famoso politico, per esempio, Ali Motahhari, si è piazzato secondo a Tehran nella lista collegata ai sostenitori del Governo. Ma quando sarà ora di discutere di temi sociali quali il velo islamico obbligatorio per le donne, lui probabilmente si siederà fra gli hard-liners»[3]. Lo stesso Rafsanjiani, da sempre espressione di quella fazione sensibile alle aperture economiche ma socialmente e politicamente conservatore, rappresenta niente più che il miglior compromesso politico fra chi difende ad oltranza l’ordine costituito e chi invece invoca le riforme in campo politico, sociale ed economico che potrebbero aprire ad una transizione verso la democrazia[4]. L’ex presidente, da sempre sostenitore di una linea pragmatica in politica estera, funzionale alla vitalità economica del Paese non ha mai mostrato grosso interesse per questioni quali la democrazia politica o il rispetto dei diritti umani.
Uno dei rischi che corre l’Iran è che all’apertura economica del Paese possa non corrispondere affatto quell’apertura politica che la società iraniana chiede da tempo. Dal punto di vista della qualità democratica, questo aspetto favorisce l’emersione di un gap incolmabile fra possibile riuscita dell’apertura economica ai mercati internazionali e mancato approfondimento della dimensione politica e sociale, deficit che impedisce agli scienziati politici di parlare compiutamente di «transizione alla democrazia». Nella società mancano effettivamente quei corpi intermedi fondamentali allo sviluppo di una democrazia di qualità: alle elezioni non si presentano partiti strutturati come quelli conosciuti dalle grandi democrazie di massa occidentali nello scorso secolo, bensì liste create ad hoc per l’occasione o, comunque, espressione, di poteri forti non sottoposti a forme istituzionalizzate di controllo dal basso (la cosiddetta accountability sociale). Causa e, al contempo, conseguenza di questa situazione è stata la progressiva ascesa dei Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran) che ormai da un ventennio stanno progressivamente occupando le posizioni chiave all’interno della struttura politica, economica e istituzionale del Paese.
Nati come corpo paramilitare allo scopo di difendere i valori della rivoluzione khomeinista contro qualsivoglia minaccia interna o esterna al regime, a partire dagli anni Novanta i Pasdaran – incoraggiati fortemente proprio dalla Presidenza Rafsanjiani – si sono impadroniti delle attività economiche essenziali del Paese (costruzioni, ingegneria, armi, cultura, energia), controllandole direttamente o appaltandole a società ad essi collegate[5]. In campo petrolifero, tramite la potente società Khatam al-Anbia («sigillo del Profeta», conosciuta anche come GHORB) i Guardiani della Rivoluzione gestiscono direttamente, in concorrenza con altre società straniere, le fasi di estrazione nel sito di South Pars, il più grande del Paese. Fino a quando era in vigore, il regime delle sanzioni fungeva da meccanismo che avvantaggiava enormemente i Pasdaran, i quali potevano concentrare ancor più nelle loro mani le attività economiche che, viceversa, altre imprese facevano fatica a tenere in piedi. Pertanto, nella nuova situazione venutasi a creare con l’apertura ai mercati internazionali determinata dall’alleggerimento delle sanzioni è plausibile attendersi che i Pasdaran aumentino il loro già pervasivo potere.
A distanza di tre anni dalle elezioni presidenziali, il consolidamento dell’influenza politica della coalizione conservatrice-moderata-riformista a scapito degli hard-liners va quindi inserita nel contesto di ascesa dei Pasdaran. Va tenuto presente che, come affermato da Frederic Wehrey, citato dal Council of Foreign relations, «i Pasdaran godono di una constituency in certe aree dell’Iran, specialmente nelle zone rurali dove i progetti infrastrutturali finanziati dai Guardiani e l’impego nelle milizie paramilitari Basiji può garantire ai Guardiani un grado di sostegno più alto di quanto immaginiamo»[6]. Non è da escludere che stiamo progressivamente assistendo ad un ricambio generazionale nell’establishment iraniano. I vecchi chierici, che all’epoca della Rivoluzione avevano 35-40-45 anni, ora sono quasi tutti ultraottantenni. La generazione di Pasdaran, imbevuti anch’essi di retorica khomeinista, ma membri di un corpo che è paramilitare, sono invece uomini di 50-60 anni. Il regime clericale e teocratico fondato da Khomeini quasi 40 anni fa sta via via assumendo i tratti di un pretorianesimo; e, come tutti, i regimi militari, provvede direttamente alla gestione delle principali attività economiche del paese, creando clientele e ottenendo legittimità in cambio[7].
La partita politica che si giocherà in Iran nei prossimi anni dipenderà ancora una volta dall’aspro fazionalismo che da sempre ne costituisce il tratto essenziale. La fiducia assegnata alla coalizione moderata-riformista è indice del gradimento con cui sono stati accolti gli sforzi profusi dall’Amministrazione Rohani nell’addivenire ad un accordo con l’Occidente sulla questione nucleare. Ma la vera sfida per la giovane società iraniana sarà quella di prendere consapevolezza di sé e, beneficiando dei vantaggi economici derivanti dalle nuove possibilità svelate dall’intesa sul nucleare, di sapersi strutturare a livello politico attorno a nuovi poli che possano rappresentare un’alternativa ai centri del potere, per lo più clericali, che finora hanno gestito la cosa pubblica in Iran. A questo fine, sarà chiaramente decisivo il ruolo svolto dai Pasdaran, i quali, tuttavia, se riusciranno nel frattempo a sostituirsi al clero, difficilmente saranno proni a lasciare spazio a nuovi attori sociali.




[1] Iran: Assembly of experts selection results show strong backing for moderates, http://www.payvand.com/news/16/feb/1154.html; Rohani, reformist allies make gais against conservatove rivals in elections, http://www.payvand.com/news/16/feb/1152.html.
[2] Max Fisher, How the nuclear deal boosted Iran’s moderates – and showed Iranian elections can matter, http://www.vox.com/2016/3/2/11147102/iran-election-moderates-nuclear-deal, Ishaan Tharoor, Iranians took part in elections. Guess what: their votes mattered, https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2016/03/01/iranians-took-part-in-an-election-guess-what-their-votes-mattered/. Cfr. anche Moderates dominate council of clerics in Iran elections, 29 febbraio 2016, http://www.aljazeera.com/news/2016/02/moderates-dominate-council-clerics-iran-elections-160229091044340.html.
[3] Thomas Erdbrink, Doubts rise in Iran about conclusive elections results, 2 marzo 2016, http://www.nytimes.com/2016/03/03/world/middleeast/iran-elections.html?_r=1.
[4] Mohammad Ayatollahi Tabaar, Why the triumph of moderates is a setback to iranian democracy, 9 marzo 2016, https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2016/03/09/why-the-triumph-of-moderates-is-a-setback-to-iranian-democracy/.
[5] AA.VV., The rise of Pasdaran. Assessing the domestic roles of Iran’s Islamic revolutionary Guars corps, RAND Corporation, 2009; Ali Alfoneh, How intertwined are the Revolutionary Guards in Iran’s economy, American Enterprise Institute for Public Policy Research, N. 3, Ottobre 2007.
[6] Greg Bruno, Jayshree Bajoria and Jonathan Masters, Deputy Editor, Iran’s Revolutionary Guards, CRF Backgrounds, 14 giugno 2013, http://www.cfr.org/iran/irans-revolutionary-guards/p14324.
[7] Elliot Hen-Tov and Nathan Gonzalez, The Militarization of  Post-Khomeini Iran: Praetorianism 2.0, The Washington Quarterly, Winter 2011, pp. 45-59.

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